La ricerca di Antonella Leone sulle meduse da mangiare

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Pronti a bandire le nostre tavole con cavallette e meduse? Di insetti nel piatto se ne parla da decenni, ormai, come una delle possibili strade da percorrere per far fronte al fabbisogno proteico di una popolazione che entro il 2050 potrebbe superare quota 9 miliardi. Scelta che comporterebbe una serie di vantaggi sul fronte della sostenibilità ambientale: perché produrre un piatto di insetti richiede meno mangime di una bistecca, produrrebbe meno rifiuti e provocherebbe meno emissioni di gas serra.

“Le meduse, invece, più che per il loro apporto proteico, potrebbero trovare spazio nelle nostre ricette perchè sono abbondanti nei nostri mari e costituiscono una ricca fonte di sostanze antiossidanti, oltre che deliziose. Una prelibatezza già riconosciuta almeno così sono già considerate in molti paesi asiatici”. Antonella Leone, ricercatrice dell’Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari del Cnr di Lecce, ne studia le caratteristiche nutrizionali, in vista di un loro possibile uso come risorsa alimentare per un’alimentazione sostenibile.

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“Nel sud-est asiatico – spiega – rappresentano un piatto tradizionale e c’è un commercio molto florido e un giro di affari importante. Le meduse vengono vendute secche, semi-secche, in salamoia e adesso anche in confezioni ready to eat. Introdurle anche nella nostra dieta significherebbe creare una nuova filiera alimentare a beneficio di tutti gli attori coinvolti: dai pescatori ai consumatori. Purché le meduse restino un prodotto a chilometro zero, tipico di quelle aree in cui si verificano i cosiddetti bloom di meduse”.

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Insomma, i pescatori le pescano e i ristoratori le propongono come alimento locale. Chissà però se riusciranno facilmente a farsi largo nei nostri menu come cibo del futuro. Intanto le meduse sono al centro del progetto GoJelly, finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma Horizon2020 con un budget di 6 milioni di euro.

Se vi state chiedendo perché le meduse attirino tanta attenzione, sappiate che sono delle creature straordinarie. E non perché sono ricche di proteine, sostanze antiossidanti, collagene e sali minerali. O, almeno, non solo.

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“Le meduse – come racconta Leone – sono nei nostri mari dal Cambriano: parliamo di oltre 500 milioni di anni fa. Hanno popolato il pianeta, dunque, molto prima di noi”. E ce ne sono di tantissime specie: di piccolissime, di appena pochi millimetri, e di gigantesche, con un ombrello di tre metri di diametro. Potremmo dunque dire che sono un esempio di resilienza. Si sono adattate infatti praticamente a tutti i mari.

E adesso sembra che abbondino: non è raro infatti osservare enormi sciami di meduse in superficie. Sono in aumento?

«Sempre più spesso, anche sulle nostre coste, è possibile imbattersi in enormi masse gelatinose di meduse, i cosiddetti bloom di cui parlavo prima, che possono avere effetti spiacevoli sulla pesca oltre che sul turismo.

La loro proliferazione in qualche modo può essere collegata all’aumento delle temperature dell’acqua e alla pesca eccessiva che svuota i mari dei pesci che, oltre alle tartarughe, sono predatori di meduse. D’altro canto, la proliferazione delle meduse impatta sull’abbondanza di alcune specie marine, perché le meduse si nutrono di uova e larve di pesci. Nel Mediterraneo, che è un bacino particolare, semichiuso e molto sensibile ai cambiamenti climatici, l’aumento delle temperature è particolarmente critico e questo fenomeno sta aumentando.

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Ma dobbiamo considerare anche l’effetto dell’allargamento del Canale di Suez: l’ampliamento del canale ha permesso a diverse specie aliene, incluse alcune meduse, di arrivare indisturbate nel nostro mare. Arrivano con le acque di zavorra, prelevate e caricate a bordo delle navi nel porto di partenza e rilasciate poi in quello di arrivo: così alcune specie dal Mar Rosso sono state trasferite nel Mediterraneo».

E così abbondano questi organismi gelatinosi, da cui tendenzialmente staremmo volentieri a debita distanza per evitare l’effetto urticante di un incontro ravvicinato. Una proliferazione, che nell’ambito del progetto GoJelly suscita particolare attenzione, considerata la proposta di trasformare le meduse in una risorsa per un’alimentazione sostenibile. Ma non solo.

«Esattamente. Il progetto a cui sto lavorando intende trasformare le meduse in una risorsa sostenibile, alimentare e non solo: per la produzione di alimenti, di mangimi per l’acquacoltura, fertilizzanti in agricoltura, cosmetici e soprattutto filtri per microplastiche. Uno degli obiettivi del progetto, infatti, è studiare il muco delle meduse, che ha proprietà tali per cui riesce a intrappolare nano e microplastiche. L’intento è riuscire a replicare in laboratorio tali caratteristiche per realizzare filtri da usare, a monte o a valle, negli elettrodomestici casalinghi e nei purificatori, per ridurre la quantità di microplastica in mare».

Torniamo al concetto di mangiare meduse e al loro uso in cucina: sul fronte proteico avrebbero la meglio gli insetti.
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«Parlando di novel foodil consumo di insetti può effettivamente soddisfare il fabbisogno di proteine, perché ne hanno una concentrazione elevata (oltre il 60%). Invece, le meduse hanno percentualmente solo il 3-4% di contenuto proteico per peso fresco. Qualitativamente parlando, però, contengono composti di ottima qualità. La componente proteica delle meduse è prevalentemente costituita da collagene in grado di produrre peptidi con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie.

Inoltre, stiamo effettuando un grosso lavoro di ricerca per lo sviluppo di un processo alimentare che non faccia uso di allume, usato nella tradizione asiatica, ma incompatibile con i regolamenti europei sulla sicurezza alimentare.

Il nostro lavoro potrà essere utile per fornire dati preziosi al fine di valutarne la sicurezza alimentare e autorizzarne la commercializzazione come novel food, secondo il regolamento Europeo, in vigore dal 1 gennaio 2018, che richiede il parere dell’EFSA quale tappa necessaria per introdurre nuovi alimenti».

Meduse, insetti… Di fatto l’introduzione di novel food punta a una maggiore sostenibilità della nostra alimentazione nel futuro prossimo.

«La sostenibilità alimentare è una sfida che ci riguarda tutti. Osservando qualunque alimento che portiamo a tavola, dovremmo interrogarci sulla sua storia: dove nasce, da chi è allevato, pescato, coltivato, e come è arrivato sulle nostre tavole, per essere consumatrici e consumatori più consapevoli e, attraverso un consumo più consapevole, ridurre l’impatto sull’ambiente dell’alimentazione e della produzione di cibo.

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Sono fiduciosa che una maggiore e migliore informazione potrà portare a scelte alimentari diverse per i cibi del futuro. Non si tratterà per forza di mangiare meduse o insetti, ma di scegliere in modo consapevole… Banalmente, anche prediligendo pesce azzurro: un pesce povero poco valorizzato, ma dotato di importanti proprietà nutrizionali e con un impatto ambientale ridotto.

Nell’ottica di una riduzione dell’impatto ambientale delle nostre scelte alimentari, una strada da intraprendere potrebbe essere, oltre al cibo del futuro, l’introduzione di etichette che, oltre ai valori nutrizionali degli alimenti, ne indichino l’impatto in termini di sostenibilità ambientale: insomma, etichette ambientali con il footprint ecologica dell’alimento».

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