La finanza al museo. Un luogo per imparare. E per combattere la vulnerabilità finanziaria delle donne.

giovanna paladino museo del risparmio

Un museo senza essere un museo. Dimenticate di passare in rassegna cimeli finanziari, il primo centesimo di Paperon De’ Paperoni, vecchie banconote incorniciate o monete o certificati del Tesoro in formato cartaceo. Di ‘fisico’ si trova molto poco, come ad esempio la collezione privata di 1700 salvadanai provenienti da circa 30 paesi.

Entrando al Museo del Risparmio di Torino farete un salto in avanti nel tempo, immergendovi in una realtà virtuale molto moderna, capace di parlare di denaro e finanza ai visitatori con un linguaggio totalmente innovativo. Necessario per dialogare con le giovani generazioni di consumatori e risparmiatori, ma anche per rendere il mondo economico più interessante agli occhi degli italiani, ancora troppo restii a prendere confidenza con la materia finanziaria.

Un tema che riguarda trasversalmente tutti, uomini e donne, giovani e meno giovani, ogni categoria alle prese con lacune che sono rischiose, considerato che comunque il tasso di risparmio in Italia è incredibilmente alto. I problemi sorgono quando si tratta di impiegarlo in modo efficiente.

Giovanna Paladino, ci fa fare un giro al Museo del Risparmio?
giovanna paladino educazione finanziaria

«Certo vi accompagno volentieri! Ma inizio a dirle che nonostante il nome non è un luogo pieno di vecchie banconote, di monete preziose o casseforti. Il Museo del Risparmio è un luogo d’ispirazione come vorrebbero le figlie di Zeus, le muse da cui deriva il nome museo. Noi vorremmo ispirare i visitatori a pensare al loro futuro in modo progettuale e positivo.

Per noi il risparmio non ha niente a che vedere con l’avarizia ma è l’atto di libertà di poter realizzare i propri “sogni”. Certo risparmiamo anche per motivi collegati al timore di eventi avversi nel futuro ma non dovrebbe essere questa la motivazione principale. Dovremmo dare più peso ai nostri desideri e fare in modo di non perderli di vista quando cresciamo.

Il Museo del Risparmio è un luogo multimediale dove ogni visitatore può crearsi un percorso di visita autonomo sulla base dei propri interessi. Tutti i nostri video (oltre 100) sono basati sullo “storytelling” e non hanno bisogno di essere visti in sequenza. Accanto a bellissimi cartoni animati, dove sono protagonisti le nostre mascotte For&Mika, è possibile vedere docufiction, interviste a personaggi di rilievo del presente, addirittura a Premi Nobel, e interviste impossibili con gli scrittori del passato nella parte dedicata alla contaminazione con la letteratura. Una sala è, inoltre, dedicata a sperimentare i concetti alla base della buona gestione del denaro attraverso numerosi videogiochi e una nuova applicazione di intelligenza artificiale.

Accanto a tutte queste esperienze multimediali abbiamo recentemente accolto una collezione di 1700 salvadanai, provenienti da 30 Paesi del Mondo, che essendo oggetti iconici interessano molto grandi e bambini».

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Come e perché è nato il Museo del Risparmio?

«Questa iniziativa nasce dopo la crisi di Lehman Brothers nel 2010 quando diviene evidente che le persone più colpite dalla crisi finanziaria, che aveva travolto prima gli USA e poi l’Europa, erano le persone meno agiate e soprattutto allo scuro dei principi di base della buona gestione del denaro. Quelli che chiameremo gli analfabeti finanziari, che non avendo chiara la relazione tra rischio e rendimento erano facili preda di truffe, che non avevano alcuna idea di cosa fosse la diversificazione. Coloro che non sapendo come si calcolano gli interessi sono stati travolti dai debiti. In quel periodo la fiducia tra risparmiatori e sistema finanziario era crollata ai minimi termini, anche per effetto delle conclamate malversazioni di alcuni dei principali esponenti del mondo finanziario, soprattutto all’estero.

Il Presidente di Intesa Sanpaolo, dell’epoca, ha quindi deciso che era importante per la banca mettere a disposizione di tutti un luogo dove poter entrare in contatto con i concetti alla base dell’educazione finanziaria, offrendo una cassetta degli attrezzi a difesa dei clienti e ristabilendo quel rapporto di fiducia che era stato minato dal comportamento disdicevole di qualche intermediario. Avendomi chiamato a lavorare per lui, a inizio 2011 mi ha chiesto di lavorare al progetto. Nel maggio del 2012 il Museo del Risparmio di Torino ha aperto i battenti».

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Che riscontri ha dai visitatori?

«I visitatori sono entusiasti perché, nonostante siano passati quasi nove anni, il Museo è rimasto un posto assolutamente al passo con i tempi e in grado di divertire. Tutto nel Museo del Risparmio è, infatti, basato sul concetto di edutainment ovvero insegnare attraverso forme di intrattenimento e di gioco. Il nome potrebbe non essere molto attraente, perché spesso associamo il risparmio all’avarizia quindi a un comportamento triste. Ma la visita del Museo è esattamente il contrario.

Non solo è divertente ma in alcuni casi i visitatori la hanno definita sorprendente e strepitosa. E noi facciamo del nostro meglio per sorprendere anche usando gli strumenti tecnologici più avanzati. Durante il primo lockdown abbiamo allestito una postazione avveniristica di Intelligenza Artificiale dove è possibile colloquiare con le nostre mascotte a grandezza d’uomo e scoprire quale è il nostro money type. Un gioco che aiutare a riflettere sul nostro modo di gestire il denaro, uno stile che talvolta adottiamo inconsapevolmente».

Andiamo a lei. Giovanna Paladino, è vero che è una neurobiologa mancata? Il passo da medicina a economia non è immediato.

«Veramente qualcuno mi ha chiesto, nel corso di un’intervista, come sono arrivata a studiare economia e io ho semplicemente risposto “per caso”. Perché la mia passione al liceo era lo studio del cervello. Mi vedevo in un laboratorio.

Sono sempre stata affascinata dalla relazione tra coscienza e cervello, molto tempo prima che le neuroscienze andassero di moda. All’epoca percorrere quella strada avrebbe voluto dire 11 anni di studio prima di poter ambire a qualche forma di lavoro pagato. Non era per me una prospettiva possibile e quindi ho pensato di iscrivermi a economia, che poteva offrirmi qualche opportunità di lavoro in tempi rapidi.

Poi ho iniziato un corso di studi molto più lungo della laurea, che mi ha portato in giro per il mondo e che è durato 11 anni grazie a generose borse di studio, che mi hanno consentito di avere il privilegio di studiare in Svizzera e nelle migliori università negli Usa».

Donne in finanza, forte presenza, poco in ruoli apicali. È un tema che la appassiona?

«Non mi appassiona, mi fa venire l’orticaria. Nelle grandi organizzazioni il merito non è l’unico criterio, e questo è bene dirlo e saperlo, anche se dovrebbe comunque essere almeno una condizione necessaria per progredire nella carriera. Poi è ovvio che la scelta per i posti apicali risponde a un criterio di mentoring, che per le donne è più difficile da innescare per numerose ragioni, inclusi alcuni stereotipi sociali. Per cui è abbastanza comune vedere le donne nei ruoli di assistenti o di responsabili di back office, quasi mai nei ruoli dove bisogna decidere di denaro. Ben che va sono a capo del personale.

Quando si guarda alle organizzazioni e alla politica siamo piene di ministre senza portafoglio. Mi fa ben sperare l’esempio che viene dall’estero. In particolare la nomina di Jane Fraser come CEO di Citigroup, la più importante banca statunitense. Una donna pratica che non si nasconde dietro vittimismi né “affirmative action”. L’essere donna non è un merito in sé, ma essere penalizzata per esserlo è una forma di discriminazione che non può lasciare indifferenti nessuno. Neanche quegli uomini che tessono le lodi delle proprie figlie, come se fossero esseri soprannaturali, ma che poi trattano le donne sul lavoro come si tratta il criceto sulla ruota».

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L’attenzione del Museo alla vulnerabilità finanziaria delle donne è enorme. Cominciamo dall’analisi della situazione che, per verità, è analizzata in lungo e largo da tempo. Certamente c’è disinteresse per questi temi, eccesso di delega agli uomini, scarsa consapevolezza dei rischi che si corrono non interessandosi alle questioni finanziarie personali. Ma forse nel 2021 tutto questo non è più accettabile. Non sta cambiando nulla?

«Pochissimo e la ragione è che c’è una resistenza culturale fortissima. Molte donne non accettano l’idea che esista una maggioranza di noi che ha difficoltà a vedersi al di fuori delle mura di casa con un ruolo lavorativo, meno che mai come decisore finanziario della famiglia. Ho rilasciato una intervista a un “magazine” e la direttrice ha ricevuto proteste di donne che reclamavano una realtà differente da quella che io ho raccontato sulla base delle indagini campionarie e sulla base di quanto sperimentato al Museo.

Spesso le più evolute di noi non si rendono conto di rappresentare solo una piccola minoranza di donne. La stragrande maggioranza ha bisogno di acquisire consapevolezza e reagire con coraggio a una cultura subdola che dalla dipendenza economica porta alla violenza psicologica e talvolta a quella fisica. Le donne non solo devono contare nella società ma devono saper contare, ovvero curare il proprio denaro, e soprattutto imparare a contare su sé stesse».

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Tanta attività di ricerca sul rapporto tra donne, finanza, risparmio ed investimento ma anche tante iniziative concrete di educazione finanziaria. Su che aspetti vi siete concentrati?

«”Prometto di prendermi cura di me” è una, tra le tante iniziative dedicate alle donne offerte dal Museo in questi anni, È nata come un’attività che avremo dovuto svolgere in presenza al Salone della Sposa di Milano nel 2020. Poi, per le ragioni che tutti sappiamo, si è trasformata in una iniziativa digitale di successo volta a sensibilizzare le donne in procinto di sposarsi. Perché quello è il momento critico della rinuncia della vita lavorativa.

Ci sono tante cose che bollono in pentola. Le do un’anteprima. Nelle prossime settimane uscirà un libricino intitolato “Non solo capelli” che porrà l’accento sulle similitudini tra cura di sé e cura del denaro. È prodromo ad una nuova campagna di sensibilizzazione che, se riuscirò, metterò a punto attraverso i parrucchieri. Avevo iniziato nel 2020 ma poi è arrivata la pandemia, ma non mollo. Voglio arrivare alle donne dove le donne vanno».

Prima e dopo la pandemia. In questo anno se possibile i problemi per le donne sono aumentati. E voi lo avete constatato con la ricerca “Capacità di sopportazione e di reazione in tempi di pandemia”, condotta insieme ad Episteme. Donne reattive rispetto alla crisi? Oppure hanno colto la necessità di approfittare della crisi per migliorare le proprie competenze in materia di gestione del denaro.

«Le donne non hanno mostrato una migliore capacità di sopportazione ma, nell’indagine, le donne laureate con meno di 45 anni sono tra le top performer per capacità di reazione. Sono donne che non si sono lasciate andare e hanno approfittato del momento per mettere a fuoco le priorità, per attivare quelle energie necessarie a rimettersi in gioco, anche attraverso la formazione. Sono anche più ottimiste verso il futuro.

Questo discorso non vale per le casalinghe che, invece, si trovano, purtroppo, sovra-rappresentate tra nelle categorie dei performer peggiori, ovvero di coloro che non hanno più capacità di sopportazione e non hanno energie per ripartire. Comunque, un risultato importante e transgender la ricerca lo fornisce in modo chiaro: istruzione ed educazione finanziaria fanno veramente la differenza per tutti.

Avere un grado di istruzione elevato ed essere alfabetizzati finanziariamente portano ad un aumento della probabilità di essere tra chi ha più chance di farcela, rispettivamente, del 30 e del 16 percento».

Dott.ssa Giovanna Paladino, le competenze possono crescere, ma il panorama finanziario diventa ogni giorno più complicato. Molte opportunità ma anche rischi crescenti. Intanto, con l’avvento del fintech – e quindi grazie alla tecnologia che rende i servizi bancari e finanziari più snelli e ‘smart’, a partire dalle applicazioni facilmente utilizzabili con i dispositivi telefonici – è possibile che più donne possano cogliere l’occasione per rendersi più autonome dal punto di vista delle scelte economiche?

«Lo spero. Ma tra le nostre numerose indagini, ad aprile 2020, ne abbiamo pubblicata una sulla digitalizzazione e la consapevolezza finanziaria degli italiani. Il quadro che ne è venuto fuori è stato abbastanza disarmante perché è alta la percentuale di donne che soffre della sindrome di Dunning- Kruger, ovvero pensano di sapere ciò che non sanno. Le donne non sono sole, sono in compagnia di anziani e ragazzi, tuttavia, in questo caso, il mal comune non alimenta neanche la metà del gaudio.

Le donne risparmiano più o meno come gli uomini ma non investono e sicuramente non lo fanno tramite il Fintech. Come dice Robert Shiller, il premio Nobel, di fronte alle crisi e all’aumento di incertezza dobbiamo augurarci che avvenga quella trasformazione che è avvenuta nella medicina. Nell’800 le persone meno abbienti si curavano da sole poi l’accesso al consulto medico è diventato alla portata di tutti e questo ha ridotto la mortalità. Così, vista la complessità dell’evoluzione dei mercati finanziari, se le persone con un minimo di conoscenza finanziaria, in grado di individuare perditempo e truffatori, inizieranno a rivolgersi a bravi professionisti certificati forse si potranno ridurre i danni che le crisi finanziarie hanno causato, non ai ricchi ma alle persone comuni».

In una vostra ricerca sui temi della digitalizzazione finanziaria (“Digitalizzazione e Consapevolezza Finanziaria”), citate il recente rapporto OCSE ‘Skills Outlook 2019 – Thriving in a digital world’, che posiziona l’Italia nel gruppo con il ritardo digitale più consistente, insieme a Cile, Grecia, Lituania, Slovacchia e Turchia, paesi che vengono definiti come impreparati ad affrontare le sfide della digitalizzazione.

A suo avviso quale è la forma di ritardo più preoccupante, cosa implica per i cittadini questo ritardo e come anche l’educazione finanziaria può rappresentare un motore per superare questi ritardi?

«In Italia abbiamo due cellulari a testa ma di fronte alla necessità, imposta dal Covid-19, di usare in modo diverso il cellulare o il computer abbiamo assistito alle tragicomiche. Non tanto, o non solo, per la copertura della rete ma per quegli aspetti che menzionavo prima. Persone che si credono draghi in tecnologia perché riescono a scrivere un post sul sociale ma non sanno come scaricare un antivirus o creare una macro su Excel.

L’educazione finanziaria è importante perché consente uno sviluppo inclusivo anche di fasce della popolazione normalmente ai margini. Saper gestire il denaro, in modo basilare ma autonomo, saper pianificare sono strumenti di supporto importanti proprio per chi deve fare i conti per arrivare a fine mese. In questo senso una maggiore serenità finanziaria diventa elemento di crescita personale e sociale. Per la digitalizzazione, la spinta l’ha fornita l’attuale pandemia che ha accelerato processi che, altrimenti, avrebbero preso anni».

Le donne che rapporto hanno con i sistemi di pagamento digitali?
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«In realtà le donne, a inizio del 2020, continuavano a prediligere il contante più degli uomini (75% vs 69%), a cui seguono il bancomat e carte di credito. Solo il 19% affermava di usare molto spesso lo smartphone (contro il 23% degli uomini).

In generale le donne usano il cellulare e l’app di home banking per fare attività di base, apprezzandone soprattutto la velocità e la possibilità di fare operazioni in qualsiasi ora del giorno. Il digitale è usato poco per fare scelte di investimento, da parte di uomini e donne, con le donne ancora più restie degli uomini. Al momento dell’indagine solo il 3.3% delle intervistate ha risposto che usava già un’app per investire il denaro. Mentre hanno risposto di non aver alcuna intenzione di usarla in tal senso il 50% delle intervistate contro una reticenza del 35% da parte degli uomini. Mi sembra proprio che ci sia molta strada da fare».

Dott.ssa Paladino, la pandemia sta cambiando molte delle nostre abitudini. Usiamo di più l’e-commerce, lasciamo il denaro sul conto corrente e non investiamo, tanto per citare alcuni esempi. Chissà cosa dovrà raccontare in futuro il Museo del Risparmio. Su che filoni lavorerete?
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«Già l’anno scorso avevo colto la necessità di spostare il nostro focus sugli investimenti, perché le persone quando pensano al risparmio pensano a qualcosa che se va bene avviene un po’ per caso. E, in effetti, l’80% dei risparmiatori sono “accidental savers”, risparmiano quello che avanza, dopo le spese, senza una progettualità. Penso che questo sia in parte dovuto a un male del nostro tempo.

Non vorrei sembrare una suora laica, ma penso che abbiamo perso l’entusiasmo per il futuro, abbiamo poca speranza e questo non ci consente di perseguire obiettivi importanti. Gli adulti passano questo malessere ai ragazzi. Per cui è importante parlare agli adulti e alle donne, in particolare, perché saranno loro a doversi mettere in gioco per quel rilancio che spero vedrà tutti protagonisti nei prossimi anni.

Abbiamo di fronte delle opportunità enormi che hanno bisogno di persone con progetti, che vogliono investire sul futuro, coraggiose quel tanto che serve a gestire il rischio. Poiché il coraggio – a differenza della paura – è un atto di volontà, questa volontà dovrà essere alimentata. La nostra attenzione sarà, allora, rivolta a sottolineare l’importanza del desiderio, della costanza e della pazienza nel perseguire la realizzazione dei propri progetti».

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