Il diritto e il fintech: un mondo tutto da costruire. Parola di Marta Ghiglioni.

A 26 anni, nel 2019, è stata indicata come una delle 15 personalità più influenti del Fintech in Italia. Partecipa a molti TedTalk come divulgatrice tecnologica. Senza voler generalizzare, è raro incontrare tanta determinazione e tanta chiarezza di idee su quello che si vorrebbe fosse il proprio percorso professionale. Abbiamo percepito fortemente queste qualità dalla nostra conversazione con Marta Ghiglioni, astro nascente (giusto per questioni anagrafiche, perché di esperienza ne ha già parecchia) del fintech italiano. Anche se in verità, potremmo dire internazionale: ora vive a sud di San Francisco, i confini domestici le sono stati stretti abbastanza in fretta. D’altronde, chi vuole cimentarsi nella tecnologia (e, in questo caso, in quella applicata ai servizi finanziari) difficilmente può prescindere da un’esperienza in area Silicon Valley.
Ha scritto di lei Il Sole 24 Ore: “Se scopri la passione dei computer a sei anni, la programmazione a 14 e lo sviluppo di back-end prima della maturità, dopo la laurea puoi permetterti obiettivi un po’ ambiziosi. Ad esempio «installare la morale» nei chatbot utilizzati negli studi legali, spingendo l’asticella dell’intelligenza artificiale su un livello sconosciuto: la sensibilità giuridica, la capacità di ragionare sui casi con un metodo che consideri meno i rapporti causa-effetto e più la sostanza del diritto”. Un campo complicatissimo, forse mai esplorato da nessuno prima. Marta corre, è una che ha dentro sé un’urgenza incontrollabile. “Uno dei miei primi capi in banca mi diceva sempre: tu corri sempre! Ero così in affanno perché stavo cercando il posto, le persone, cercavo di uscire da qualcosa che non mi apparteneva”. Lo dimostra già nella scelta del percorso universitario.

Perché una giovane donna appassionata di tecnologia, con la fame di competenze Stem che abbiamo, sceglie giurisprudenza?
«Da persona appassionata di tecnologia e avendola studiata al liceo, mi sono resa presto conto che pochissime persone nel mondo legale avevano competenze trasversali per comprendere come la tecnologia funzionasse. Nel 2011, al quinto anno di liceo, lavoravo per il web e mi rendevo conto che i professionisti con cui dovevo parlare di diritto non avevano una vera e propria competenza del lato tecnologico. Cosi, da persona appassionata di tecnologie ho scelto di studiare giurisprudenza per provare a colmare questo gap. La mia idea generale era che, ad un certo punto, avremmo dovuto scrivere la legge per le macchine.
Il mio sogno è quello di fare quella cosa che esiste solo nella mia mente: ingegneria legale. Pur avendo bruciato tutti i tempi per sostenere gli esami, mi manca ancora di discutere la tesi (lo farò entro fine anno), perché la mia materia è talmente a metà tra tutto che ho dovuto lasciarla indietro! Però, nel frattempo, durante l’università ho iniziato a lavorare subito in uno studio legale (Perani Pozzi Associati, ndr), specializzato in marchi e brevetti anche per l’industria bancaria. Ero solo al secondo anno di università ma mi sono trovata ad avere un cliente mio (portato da me in quello studio legale). Quindi loro mi hanno chiesto di rimanere e sono rimasta con loro due anni, studiavo e lavoravo».
Ma poi quando è arrivato il Fintech?
«Alla fine del terzo anno, quando sono venuta per la prima volta in California, avevo dato anche tutti gli esami del quarto anno con una media altissima. Ho iniziato a lavorare a tempo pieno ma l’Università Statale non era pensata per chi svolgeva la mia attività. Quello è stato il momento in cui il fintech mi ha trovata e ho iniziato a lavorare su questa mia passione di portare la legge all’interno delle tecnologie e farle comunicare. Nel fintech è fondamentale».

Attualmente in California Marta Ghiglioni ha scelto l’autonomia.
«Sono un consulente indipendente per startup e imprese nel campo fintech ma anche con un approccio all’impatto sociale».
Sappiamo che chi lavora in certi settori non può rinunciare ad un’esperienza californiana o, comunque, americana. Nel tuo caso quando e come è maturata l’idea di trasferirti a San Francisco?
«È stata un’ispirazione personale. Nel 2016 sono venuta grazie ad una borsa di studio che mi ha permesso di partecipare al Global Solution Program della Singularity University @ Nasa Ames Research Center. Qui ho scoperto persone che la pensavano come me, e mi sono detta ‘voglio avere il privilegio e l’onore di lavorare in un posto del genere’. Un percorso non facile perché ci è voluto qualche anno per arrivare qui con un visto, una green card e quando ho completato tutto, a febbraio, è scoppiata la pandemia. Prima degli States ero stata in Germania, ad Hannover, in una scuola di diritto e bioetica, poi ho fatto un master a Ravenna. Ma è cambiato tutto quando ho scoperto la Singularity University: una scuola che prendeva 80 persone da tutto il mondo e le teneva per 10 settimane chiuse in un campus (io in realtà ho vinto due borse, ognuna di 10 settimane), esperienze di vita diverse e tutti insieme a cercare di usare la tecnologia per il bene comune. Un approccio che mi ha entusiasmato tanto, visto che di fronte alla tecnologia, in ogni sua forma, ancora troppe persone si scoraggiano: non ne faccio una questione generazionale perché conosco anche molti giovani che pensano ‘questo è troppo complicato’».

Poi però ritorni nel settore finanziario in Italia.
«Sì, per il visto che scadeva. Avevo 23 anni e in realtà non ero ancora pronta a vivere qui. Il gruppo Unicredit, avendo scoperto di cosa mi occupavo, mi ha fatto un’offerta. Ho pensato che non avessi abbastanza esperienza per diventare imprenditore, gli imprenditori nel settore ‘legale fintech’ non sono mai ragazzini, hanno quasi sempre già un’esperienza consolidata. In Unicredit sono stata assegnata al mondo delle startup, lavoravamo con un fondo di investimento londinese (Anthemis Equity Venture Opportunity) dedicato alla ricerca e all’investimento delle migliori startup fintech. Il mio compito era capire se la startup poteva essere interessante, dovevo farla parlare con gli interlocutori giusti all’interno della banca, e poi avendo conoscenze tech e legale, aiutavo in tutti i passaggi. Ero l’unica donna del team e anche discretamente giovane per avere un contratto a tempo indeterminato in banca. Ma sapevo che la mia carriera non sarebbe stata in una banca, mentre la maggior parte delle persone vivevano per costruire la propria carriera all’interno di quella realtà. Questa consapevolezza mi dava la possibilità di poter dire quello che pensavo senza timore o senza pensare a cosa questo mi avrebbe portato nel futuro».

Ad un certo punto ti chiedono di assumere il ruolo di Direttore generale di Italia fintech.
«Ero ancora in banca quando sono stata approcciata da alcuni imprenditori italiani nel settore Fintech che mi hanno chiesto di lavorare con loro. Abbiamo fatto molti colloqui, avevo tanti dubbi, primo fra tutti l’età. Avevo 25 anni ed un ruolo da Direttore Generale con la mia esperienza mi sembrava molto impegnativo e infatti continuavo a ripetere ad ogni colloquio: ‘siete sicuri di volere una donna giovane?’ Ma loro volevano proprio quello, essere rappresentati da qualcosa di diverso, quindi ho lasciato un posto a tempo indeterminato in banca distruggendo le certezze ed i sogni dei miei genitori. Così è nata Italia Fintech, dove lavoravo a tempo pieno. In due anni è stato interessante vederla crescere, e quando ho lasciato – loro lo sapevano benissimo che lo avrei fatto – ho lasciato tanti pezzi di cuore».
Nel settore del fintech, ancora, ci sono proprio poche donne.
«Pochissime, troppo poche non solo in Italia ma anche nel mondo. Un po’ perché il settore finanziario è un settore molto maschile, anche quello tech. Quanto a Italia fintech non è che io non sia stata scelta perché donna, ma perché le competenze che avevo già maturato. Ho avuto una grossa fortuna nell’avere vicino persone che mi hanno dato la loro voce, dicendo ‘ è Marta che parla per me’».

Le donne che ti capita di incontrare in che ambiti prevalentemente lavorano?
«Donne nel settore fintech ce ne sono ma arrivano fondamentalmente nell’ambito della comunicazione. Una delle cose di cui mi sono resa conto è che vorrei vedere realizzate più donne che si occupano non solo delle relazioni ma anche di tech. Ne ho conosciute un po’, profili che si occupavano di rischi e gestione del prodotto, però vengono raccontate spesso solo perché sono donne. Questo mi colpisce molto, perché ci raccontano come se noi fossimo sempre una contro l’altra, mentre la realtà è che poi ascoltando uomini parlare pensi: ‘non ne sanno più di quanto ne sappia io’ e questo non viene mai valorizzato.
Una volta ho avuto un workshop con donne più grandi di me, che mi chiedevano consigli su come ‘reinventarsi’ ed io ho risposto che loro avevano più esperienza di me ma la cosa importante è che dovevano assumere la consapevolezza che occupavano ruoli in cui si lavora tantissime ore che non sono fonte di felicità per nessuno. C’è dunque un tema di come costruire questi luoghi di lavoro e di come lavoriamo».
Marta, portaci nel mondo Fintech: dove ci sta conducendo la tecnologia applicata ai servizi finanziari, c’è qualcosa di stimolante che sta arrivando, cosa sta succedendo?
«Il Fintech vuole rendere la finanza accessibile a tutti. Questa è la vera differenza. Più è semplice fare qualcosa più è utile che tu sappia che cosa stai facendo. In Italia non siamo ai livelli a cui sarebbe utile essere ma ci stiamo arrivando. C’è più consapevolezza e anche i periodi di lockdown hanno svolto una sorta di funzione di incubatore, per cui tutto quello che era inefficiente prima ora non lo è più. Il mondo dei pagamenti digitali è stato il settore che ha più beneficiato delle restrizioni, poi il web management. Altri sviluppi? Oggi io sono consulente e membro indipendente del board di una startup italiana (Walliance) e con loro stiamo sviluppando il mercato degli investimenti immobiliari con le piattaforme di crowdfunding».

Un settore già fortemente sviluppato tra l’altro negli Usa.
«In America è un business enorme. Ora la parte interessante è capire come sviluppare la diversificazione degli immobili investiti dagli Usa verso l’Europa e viceversa».
Insomma, il tuo raggio d’azione è molto ampio: la legge, i servizi di pagamento, il settore immobiliare.
«Sì, in sintesi, io mi occupo del fatto che i prodotti delle aziende in questi settori rispettino le normative».
I tuoi progetti per il 2021: che cosa bolle nella pentola del tuo percorso professionale di Marta Ghiglioni?
«Bella domanda, perché ho tanti file aperti. In questo momento un progetto è in fase di incubazione e spero di poterlo rendere pubblico ufficialmente a breve, speravo che in questo 2020 tutto accelerasse, ma poi così non è stato. In generale la cosa che sto cercando di finalizzare è una ricerca che è collegata alla mia tesi, sui social media e algoritmi politici, spero presto di poter raccontare di più anche su questo».

In agenda c’è un ritorno nel fintech in Italia?
«Amo l’Italia, tanto è vero che continuo a lavorare moltissimo con l’Italia e cerco di fare in modo di fare qualcosa per l’Italia, ma è qui (San Francisco) che vedevo l’ambiente in cui potevo realizzare la mia persona prima che il mio paese. Nel 2019 ho avuto questo forte bisogno di venire qui e da fuori sembrava strano perché in Italia le cose mi stavano andando molto bene. Ma ho avuto una forte sensazione che dovevo spostarmi e l’ho fatto giusto in tempo, prima della pandemia!»
PS: Tra tutti questi impegni e trasferimenti Marta ha trovato anche il tempo di sposarsi. E dove poteva farlo, se non al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano?

“DONNE SCIENZA INVENZIONE CARRIERA – Progetto di Gianna Martinengo”
Dalle esperienze alle skill al role model, viaggio tra le professioniste e scienziate che stanno facendo progredire il mondo della scienza italiano e internazionale. Interviste a “mente aperta” anticipate da un viaggio nei diversi mercati dell’innovazione. Uno spazio sarà dedicato alle trentenni , giovani donne – professioniste e scienziate – che affrontano il futuro con coraggio e determinazione.