L’ingegnere che riproduce il cuore dei bambini

Se si fa una ricerca del suo nome su Google, spunta un articolo del quotidiano il Tirreno di qualche tempo fa, esattamente del 2018, dal titolo Cuori stampati in 3D che salvano i piccoli. Ne riportiamo un passaggio. “Su quel cuore, realizzato grazie ad una stampante 3D, si potranno simulare gli interventi chirurgici più complessi, saggiarne le reazioni e gli effetti, prima di entrare in sala operatoria quando, l’errore, a quel punto, non sarà più ammesso. Un progetto che vede la partecipazione del gruppo di Bio-ingegneria della Fondazione CNR Regione Toscana Monasterio, capitanato dalla dottoressa Simona Celi”.

E’ proprio Simona Celi la protagonista della nostra conversazione, una donna da un profilo inedito: un ingegnere meccanico folgorata dalla chirurgia, prima dalla cardio chirurgia pediatrica, oggi dalla robotica. Neanche la pandemia ha fermato l’intraprendenza e l’abnegazione per questo mestiere dell’Ing. Celi, oggi fortemente impegnata nel campo della chirurgia 4.0.

 

La prima curiosità che suscita è ovviamente legata al suo percorso professionale. Quale è il momento in cui ad un ingegnere meccanico viene in mente di trasferire le sue competenze al mondo della chirurgia 4.0, per la precisione al mondo della chirurgia toracica, quella branca cioè che prova a sconfiggere le neoplasie ai polmoni? Che affinità ci sono tra i due mondi?

“Io sono fortemente convinta della necessità di collaborare sempre di più con l’ambito chirurgico, di collaborare con soluzioni innovative. Collaborazione è la parola chiave. Vengo da un ambito totalmente differente, sono circa 15 anni che mi occupo del cardio-vascolare dell’adulto e del pediatrico e quindi se per me un cuore è un mondo dove mi muovo con naturalezza, passare a parlare di polmoni e di neoplasie è stata davvero una sfida. Ma ho presto capito che in medicina è fondamentale la collaborazione con il chirurgo, cercare di rispondere alle sue esigenze, alle sue richieste, è fondamentale il supporto tecnico-ingegneristico che possiamo fornire noi come ingegneri. E’ vero, io sono un ingegnere meccanico, capisco che il passaggio alla chirurgia non sia direttamente immediato”.

Quando è stato il momento in cui ha incontrato il cuore dei bambini?

“Lavoro in una struttura di alta specializzazione cardiologica. La sede del mio laboratorio è l’Ospedale del Cuore, uno dei centri cardiologici più importanti di Italia, dove la cura del “cuore” comincia ancora prima della nascita, fino al cuore del grande anziano. La necessità di occuparsi dei cuori dei bambini ha dunque seguito un percorso naturale, aiutato sicuramente dalle continue interazioni con i clinici anche delle unità pediatriche presenti nella mia struttura. Se devo pensare un momento specifico forse risale al 2012, quando sviluppai una piattaforma per la visualizzazione 3D delle strutture intracardiache da imaging multimodale che permettesse il planning chirurgico su una piattaforma cloud. Il primo caso fu proprio quello di una bambina operata nel nostro centro. I finanziamenti arrivarono poi nel 2018”.

Per un ingegnere è certamente naturale muoversi nel contesto ‘digitale’. E oggi c’è un grande tema, che è quello del rapporto tra mondo reale e quello che è il digital-twin, il famoso ‘gemello digitale’. Che cosa significa rendere digitale il mondo reale nel campo della chirurgia, grazie al suo lavoro?

“Intanto c’è da dire che il digitale permea fortemente la sanità. Certo, siamo ancora in una fase di transizione tra la Chirurgia 3.0 e la 4.0. Ma abbiamo già un mondo sanitario che ci permette di elaborare i dati, con algoritmi che possono essere più o meno complessi. Pensate a quando andiamo a fare un esame diagnostico e ne usciamo con un dischetto. Questo contiene le informazioni cliniche di quello che abbiamo fatto: possono essere dati che derivano dalle analisi del sangue, dalla misurazione della pressione, immagini che derivano da radiografie. Il semplice fatto che sia un dischetto è significativo, rispetto al passato in cui uscivamo da una radiografia con le lastre in mano. Questo dischetto ha delle informazioni molto ricche e dettagliate di quello che siamo noi, fisicamente. E noi siamo ‘struttura ferma’, cioè ossatura, e cuore che pulsa. Quando Franca Melfi mi ha chiesto di provare a lavorare in chirurgia robotica per una struttura ‘molle’ all’interno di una gabbia toracica, io e il mio incredibile staff ci siamo messi subito al lavoro. Che cosa abbiamo fatto? Abbiamo provato a ricostruire, parte per parte, le strutture che erano di nostro interesse e mi ricordo tutti gli interventi e tutti i passaggi per arrivare a realizzare lo strumento che permettesse loro – i chirurghi – di prendere misure, di stabilire come erano le relazioni anatomiche tra la lesione tumorale e le strutture circostanti, dare loro la possibilità di creare un modello che per noi è un modello matematico, ma che riusciamo a trasferire al clinico come uno strumento utile per pianificare interventi”.

Quindi cosa vuol dire ‘abbiamo creato un Digital-twin’?

“Rendere un paziente un oggetto “tangibile, reale” anche se nel digitale. Il digital twin è l’evoluzione di quello che chiamavamo modello “paziente specifico”. L’evoluzione del termine segue quella della tecnologia. Al giorno d’oggi infatti il gemello digitale è tutto ciò che di un paziente riusciamo ad avere in formato digitale o a renderlo tale. Nel caso della chirurgia robotica riusciamo a riprodurre le strutture anatomiche partendo dalle immagini mediche. Tale approccio lo usiamo, non solo in chirurgia robotica, ma anche in tutti quegli ambiti dove il planning chirurgico aiuta il chirurgo ad entrare in sala dopo aver simulato l’intervento sul gemello digitale appunto. Ma anche in tutte quelle procedure interventistiche dove sul gemello digitale si possono sperimentare ed analizzare diverse strategie interventistiche per poter selezionare la più appropriato per lo specifico paziente”.

Tra l’altro avete fatto tutto in tempi rapidissimi.

“Abbiamo iniziato a parlarne a marzo 2020, eravamo già in piena pandemia. E oltretutto abbiamo impostato la comunicazione tra di noi solo in modalità digitale e dovevamo mettere in piedi qualcosa che potesse essere fruibile a distanza”.

Ci spiega il metodo che caratterizza il vostro lavoro?

“Si parte dal paziente, perché questo è il soggetto al centro della nostra attenzione. Ne creiamo un modello digitale, quindi un qualcosa che può viaggiare nell’etere, nel web, nel cloud, attraverso AI, Big Data e simulazioni numeriche per poi tornare esattamente nelle mani del chirurgo e rendere il digitale una concretezza, ovvero una medicina personalizzata rivolta al paziente. Fa piacere sentire che dopo due giorni dall’intervento un paziente riesce a riavere la sua autonomia, anche nei suoi movimenti, grazie alla chirurgia robotica: una chirurgia open è molto più invalidante e richiede tempi di ripresa molto più lunghi, mentre quella robotica è riuscita nettamente ad abbassare questi tempi”.

In sostanza avete portato la medicina personalizzata verso una medicina di precisione.

“Al giorno d’oggi la medicina ha davanti a sé la sfida di riuscire a curare ogni soggetto considerandolo nella sua totale singolarità. Tale aspetto supera il principio di determinismo che è stato alla base della ricerca fino ai giorni d’oggi. La tecnologia a disposizione sta rendendo possibile includere, infatti, il concetto di variabilità individuale. Nel momento in cui creiamo un digital twin, proprio perché siamo nel mondo digitale, abbiamo la possibilità di studiare come si comporta un organo o un tessuto se sottoposto a differenti possibili stimoli, ma anche il contrario, ovvero studiare i vari modi con cui risponde un tessuto a parità di stimolo. E’ proprio questa inter-variabilità dei soggetti che sta alla base del passaggio verso la medicina di precisione”.

La pandemia ha imposto un’altra sfida: come fruire il risultato. Così avete creato in house una piattaforma web. Con che finalità?

“Gli anni di lavoro a stretto contatto con i clinici mi hanno dimostrato che il vero sviluppo tecnologico in medicina riusciamo ad averlo quando creiamo uno strumento fruibile al clinico. Il mondo digitale ha infinite potenzialità, molte già dimostrate, quante chissà ancora da esplorare. La pandemia ci ha permesso di accelerare i tempi di alcuni passaggi. Da un lato gli ospedali dovevano essere “blindati” per evitare contagi, dall’altro dovevamo fornire i nostri modelli all’equipe medica della Prof.ssa Melfi. L’unico canale era dunque il web.”

Chi o cosa la ispira nel suo lavoro?

“La risposta più vera è la più banale: una infinita e profonda passione per il mio lavoro. Passione che si alimenta con uno studio continuo e con le continue sfide poste dai clinici con cui ho il piacere di lavorare ogni giorno”.

 

Come è strutturato il suo team e come sceglie le persone che lavorano con lei? “

“La velocità tecnologica e le domande a cui dare risposte sono tali che il singolo da solo può fare poco. Oggi il mio gruppo è costituito da otto persone tra fisici e ingegneri, ma di fatto il team è molto più ampio ed include tutti coloro che entrano nel laboratorio con una domanda a cui dare risposta o per cercare insieme una risposta. I problemi che affrontiamo hanno una complessità tale per cui il confine tra medicina, biologia e ingegneria è molto labile. Ho scelto singolarmente ognuno dei miei collaboratori, e ciascuno risponde all’ esigenza di coprire un tassello differente di conoscenza. Hanno però tutti in comune una cosa: un forte passione per il lavoro che fanno e lo spirito di collaborazione”.

“DONNE SCIENZA INVENZIONE CARRIERA – Progetto di Gianna Martinengo”

Dalle esperienze alle skill al role model, viaggio tra le professioniste e scienziate che stanno facendo progredire il mondo della scienza italiano e internazionale. Interviste a “mente aperta” anticipate da un viaggio nei diversi mercati dell’innovazione. Uno spazio sarà dedicato alle trentenni , giovani donne – professioniste e scienziate – che affrontano il futuro con coraggio e determinazione.

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