Anna, come mai la tua passione per il disegno e la scultura ti hanno portata alla laurea in medicina, quando era così difficile per una donna essere accettata all’università e quando i manuali educativi consigliavano che era senza dubbio meglio che una donna non sapesse né leggere né scrivere piuttosto che non essere capace di fare la maglia e cucinare?

Tutto è cominciato quando nelle botteghe dove studiavo disegno e scultura ho incontrato Giovanni che poi ho sposato. Giovanni si occupava di realizzare modelli anatomici in cera con il suo maestro, Ercole Lelli. Col Lelli hanno realizzato anche statue osteologiche e miologiche per lo studio delle ossa e dei muscoli realizzate in cera in formato naturale. Il programma era fortemente voluto dal cardinale Lambertini che, non appena diventato Papa Benedetto XIV, commissionò al Lelli otto statue destinate all’Istituto delle scienze di Bologna.

E allora? Dai, raccontaci.

Purtroppo mio marito non andava d’accordo col Lelli e dopo due soli anni smise di lavorare con lui. Era molto bravo nel suo lavoro, ma aveva un carattere malinconico e spesso scontento di sé: «perdeva i giorni in vani lamenti invece di proseguire nelle incominciate operazioni». Così ho cominciato a lavorare anch’io con lui sia per portare a termine i lavori che per salvare il suo buon nome. In questo modo con Giovanni abbiamo realizzato modelli per il Re di Sardegna, altri per un noto chirurgo. Ma in particolare ricordo che abbiamo realizzato una serie di modelli di utero gravido, in parte in cera ed in parte in creta per la scuola di un famoso ginecologo, il Galli, e modelli dimostranti i cinque sentimenti del corpo umano, che voi oggi chiamate i cinque sensi, persino per l’Accademia Reale di Londra!

Ma allora ti sei appassionata a questo lavoro.

Oh sì, certo! Ho scoperto un mestiere appassionante che richiedeva non solo abilità di artista per la pittura e la scultura, ma anche una profonda conoscenza del corpo umano e del suo funzionamento nei minimi dettagli. Solo così si possono riprodurre modelli fedeli. Ho studiato molto e ho fatto pratica dissezionando cadaveri e osservando al microscopio i tessuti.

In pratica hai inventato l’anatomia funzionale.

Sì, in effetti eravamo in pochi allora ad unire l’aspetto, la pura morfologia descrittiva, alla funzione degli organi.

Oltre che lavorare con tuo marito e studiare, trovavi anche il tempo di insegnare e la tua fama ti ha resa famosa in tutta Europa.

Sì, mi piaceva tanto insegnare! E tra una cosa e l’altra sono diventata molto conosciuta: molti si stupivano che mi occupassi di cose così “maschili” quando alle donne si chiedeva soprattutto di saper cucinare, ricamare e al massimo suonare per allietare la famiglia…
Sono stata chiamata ad insegnare all’Università di Milano, all’Accademia di Londra e persino Caterina II di Russia voleva che mi stabilissi alla sua corte. Molti passando per Bologna mi volevano incontrare, anche l’Imperatore Giuseppe II d’Austria.

Scusa Anna, ma come facevi a fare tutto ciò con sei figli soprattutto dopo la morte di tuo marito?

Bè, non è stato facile, ma tutti mi circondavano di attenzione in famiglia. Poi per fortuna, dopo la morte di mio marito, io avevo un lavoro e anche una rendita annua che il Papa mi ha dato per poter lavorare con serenità. Così nel 1755, poco dopo la morte di mio marito, sono stata associata all’Accademia Clementina e all’Accademia delle Scienze di Bologna e in più mi è stata conferita una cattedra di Anatomia con possibilità di insegnare anche privatamente, in casa mia.

Ma la rendita ti era sufficiente?

In realtà l’incarico era piuttosto oneroso anche se mi lasciava libertà di insegnare: oltre alle lezioni dovevo effettuare dimostrazioni anatomiche attraverso dissezioni di cadaveri a richiesta e dove mi fosse stato richiesto. Dopo 10 anni mi sono resa conto che le 300 lire che ricevevo non mi erano più sufficienti e così ho chiesto un aumento di 200 lire che non mi è stato dato. Allora ho deciso di vendere le mie opere, i miei strumenti e i miei libri al Conte Ranuzzi che, oltre alle 12.000 lire concordate, mi ha offerto anche un assegno mensile ed un appartamento nel suo palazzo, dove ho continuato ad insegnare fino alla mia morte nel 1774.

Sei stata coraggiosa e determinata: non solo hai ottenuto il lavoro che volevi fare, ma anche un compenso adeguato.

Sì, bisogna essere determinate e soprattutto credere in se stesse. Se io non l’avessi fatto, avrei lasciato mio marito distruggere la nostra famiglia con le sue “malinconie” che gli impedivano di lavorare e non avrei continuato a lavorare dopo la sua morte con grandi soddisfazioni professionali ed economiche. È importante che una donna creda in sé e nelle sue capacità e non dipenda da nessuno per le sue scelte, né economicamente, né a seguito di pregiudizi o sensi di colpa.

Molti sono stati i tuoi estimatori: Galvani si schierò contro Zecchini per difendere te e le “dottoresse”, come Zecchini chiamava le donne colte e dotte per ridicolizzarle e denigrarle.

Galvani è stato grande! Ha capito la condizione delle donne e dei pregiudizi che le condizionano e le limitano tanto pesantemente. Zecchini, poveretto, non sapeva come negare l’evidenza delle mie e nostre capacità e ha usato l’arma del ridicolo, il luogo comune che l’uomo pensa con il cervello e le donne con l’utero. Si dice ancora oggi, no?
Delle donne si guarda come sono vestite, quante rughe hanno, anche se sono dei geni o delle donne di potere brave quanto e a volte più degli uomini, oppure si denominano al maschile per sottolineare che, se sono brave, lo sono perché sono come uomini, sono eccezioni rispetto a tutte le altre donne. Si dice: sono donne con gli “attributi”…

A proposito di utero, si deve a te se, per quanto riguarda il funzionamento degli organi genitali femminili, è stato messo a punto un traguardo importante per la medicina sperimentale che stava nascendo. Non è un caso forse che da Trotula in poi le più importanti scoperte in medicina sull’apparato genitale femminile, la gravidanza, il parto e la vita della nuova creatura siano stati oggetto degli studi delle donne.

Non credo sia un caso. Come in tutti i saperi, la filosofia ci insegna che è importante partire da sé per comprendere come funziona il mondo. E questo vale anche per noi e per il nostro corpo. Le “donne mediche” vivono in prima persona i fenomeni che studiano e possono comprenderli meglio rispetto ad un uomo medico che si ferma al solo studio. Per questo è necessario che il punto di vista delle donne sia sempre considerato insieme a quello maschile. Solo così si avrà una comprensione globale dell’esistenza e delle sue manifestazioni e si potranno avviare azioni che vadano a vantaggio di tutta la popolazione, senza esclusioni.
È quello che oggi voi chiamate Gender Mainstreaming.