Cara Christa, quando il vice presidente Bush ti ha lasciato la parola dopo aver annunciato il tuo nome durante la cerimonia, la voce ti si è fermata in gola. Prima che la commozione prendesse il sopravvento, hai detto che “anche se solo un corpo andrà in orbita, saranno le anime di tutti gli altri nove (finalisti) a venire con te”. Perché pensi che la scelta di ricaduta proprio su di te? Come è stato questo periodo di addestramento con i tuoi compagni? Sembra proprio che abbiate legato molto…

Ha ragione, le parole non volevano proprio venire fuori. Ero emozionatissima e agitatissima allo stesso tempo. Passare dall’insegnare storia a degli adolescenti, all’essere un’astronauta non è cosa da tutti i giorni. Non me lo sarei mai aspettato quando ho mandato la mia candidatura. Pensavo che non sarei mai stata scelta, ma allo stesso tempo sentivo che avrei  dovuto completare e inviare la mia candidatura perché lo spazio era il mio sogno da sempre, fin dall’infanzia. Era qualcosa che volevo fare e anche se le possibilità di riuscire nell’impresa erano praticamente infinitesimali, sapevo che avrei dovuto farlo innanzitutto per me stessa. Non saprei dire perché abbiano scelto me. I criteri della selezione tenevano conto di diversi parametri oltre alla preparazione, diciamo, tecnica. La NASA avrebbe valutato quanto la nostra figura avrebbe rappresentato nella maniera più sincera possibile la figura del docente e quando saremmo stati in grado di trasmettere  e condividere la nostra esperienza con altri insegnanti e con gli alunni di tutta l’America una volta tornati a terra. Utilizzando un termine che va molto di moda, la NASA avrebbe tenuto conto della nostra capacità di public engagement, del nostro carisma insomma. Sono davvero lusingata per essere stata scelta per compiere questo ruolo così importante, ma sono certa che i miei compagni di addestramento avrebbero ricoperto questo ruolo in maniera ugualmente egregia. E’ stato un training molto impegnativo, ma anche divertente. Dopo le prime nausee, i voli parabolici sono stati un vero spasso! Ci siamo avvicinati molto e siamo diventati una bellissima famiglia di aspiranti astronauti. Abbiamo tante cose in comune e questo ha reso il lavoro molto più semplice. Continuerò l’addestramento insieme a Barbara, lavoreremo molto per produrre un sacco di materiale per le scuole e non vedo l’ora di iniziare!

Oggi, grazie ai social media le attività a bordo della Stazione Spaziale Internazionale sono costantemente documentate e disponibili a chiunque abbia uno smartphone e una connessione internet. Quale pensi sia l’impatto di tutto ciò sui giovani studenti? Rende l’attività spaziale più ordinaria o ancora più speciale?

I social media stanno svolgendo un ruolo chiave a livello di comunicazione. I video che avevo previsto di filmare a bordo del Challenger avrebbero mostrato solo una piccola parte delle potenzialità dell’ambiente in microgravità presente nello spazio. La possibilità di poter documentare quotidianamente gli esperimenti condotti sulla ISS è davvero unica. Pensate a quanti studenti, insegnanti, scienziati, semplici curiosi, possono monitorare controllare cosa sta succedendo sopra le proprie teste magari mentre stanno sorseggiando un caffè al bar. Tra le dirette che avevamo progettato di trasmettere, una era intitolata “The ultimate field trip” durante la quale avrei mostrato la vita quotidiana dell’equipaggio dello Shuttle. Oggi è possibile farlo semplicemente accendendo il cellulare e connettendosi a Twitter o a Instagram. La connessione internet disponibile in ogni parte del globo fa sì che sia possibile trovarsi sulla ISS in qualsiasi momento della giornata. Non penso renda meno magica l’esperienza spaziale, anzi, ritengo che in qualche modo la “umanizzi”, la renda cioè straordinariamente ordinaria. Ci appassioniamo a qualcosa solo se siamo in grado di creare una connessione, se entriamo in empatia. Senza la curiosità e la passione non si può fare nulla. Avere a portata di mano così tante informazioni sui voli spaziali, sulle attività degli astronauti in diretta, crea un legame non solo scientifico, ma emotivo. Gli astronauti diventano parte della famiglia, persone con le quali possiamo comunicare, con cui stringiamo dei rapporti. I video che avrei filmato sullo Shuttle avrebbero avuto proprio questo scopo: riempire quel vuoto che c’era tra gli “intoccabili” astronauti e i ragazzi delle scuole. Avrei voluto avvicinare questi due mondi, mi sarebbe piaciuto rendere gli uni partecipi delle vite degli altri. Creare una connessione, un affetto che forse un giorno si sarebbe tramutato in emulazione ed ispirazione.

 Il presidente Reagan ha aperto i viaggi spaziali anche ai civili e per inaugurare questa nuova era ha deciso di mandare in orbita una delle punte di diamante della società americana, quelle che lui chiama “one of America’s finest”: un insegnante. Perché pensi la scelta sia caduta proprio su un docente?

La scelta del presidente Reagan vuole sicuramente creare una connessione tra il programma spaziale e il sistema scolastico. Siamo agli inizi degli anni ‘80 e molti di noi sono nati durante le prime imprese del programma Apollo e la corsa per la conquista dello spazio fa parte del nostro bagaglio culturale. I ragazzi di oggi sono nati durante la guerra del Vietnam e non hanno avuto la fortuna di seguire con la stessa enfasi di un tempo i lanci orbitali. Il TISP nasce nello stesso periodo del programma “Young Astronauts ”, un’altra idea della NASA per avvicinare gli studenti di tutta l’America allo spazio. Come docenti abbiamo in mano forse una delle più grandi responsabilità, quella di formare le prossime generazioni. Tocchiamo davvero con mano il futuro. Penso che il presidente Reagan e la NASA abbiano voluto investire sulle prossime generazioni attraverso gli insegnanti, cercando anche di ridare valore a questa figura, a renderla nuovamente importante nell’immaginario collettivo. Non voglio dire che come insegnante io debba essere messa su un piedistallo e venerata, per carità, ma ogni anno ho la responsabilità di formare almeno un centinaio di ragazzi. E come me, altri milioni di docenti in tutto il mondo. Spero davvero che il TISP e l’opportunità che mi è stata concessa possano creare davvero produrre dei cambiamenti positivi sulla società di oggi e di domani.

Quali sfide pensi debbano affrontare oggi i docenti delle cosiddette materie STEM (Science, technology, engineering, mathematics)?

Penso che le battaglie principali siano due: stare al passo con i tempi e i cambiamenti sempre più rapidi e la sotto rappresentazione delle donne in materie STEM.
Per quanto riguarda il primo aspetto, penso sia fondamentale la costante formazione degli insegnanti non solo dal punto di vista curriculare, ma metodologico. I programmi, in particolare di scienze, concedono un buon margine di gioco e di personalizzazione. Mentre insegnavo alla Concord High School, ho ideato un programma di storia americana che ho chiamato “The American Woman”: volevo raccontare la storia degli Stati Uniti dal punto di vista femminile, dalla prospettiva di quelle donne che hanno fatto e contribuito alla storia del mio paese. Il mio è solo un piccolo esempio, ma penso che ogni argomento trattato in classe possa essere affrontato da un punto di vista diverso, che interessi i ragazzi e che gli conceda la possibilità di crearsi un’opinione, di poter ragionare con la propria testa. Come docenti non dovremmo essere spaventati dall’idea di sperimentare: nei tempi, nei modi e negli argomenti. Dovremmo sempre spingerci oltre, confrontarci, condividere esperienze e idee con i colleghi per migliorare il nostro approccio e il nostro metodo. Non dovremmo aver paura di mettere  noi stessi in ciò che facciamo: penso che l’empatia e la passione ritornino in gioco anche qui. Se i nostri studenti capiscono che ciò che stiamo raccontando fa parte di noi e non solo un concetto astratto, cercheranno di comprendere perché tale argomento sia così importante per noi stessi e se ne incuriosiranno.
La seconda sfida che attende i docenti in materie STEM penso sia la carenza di ragazze impegnate nelle materie a carattere tecnico-scientifico. Sono ancora molti di più i maschi a laurearsi in ingegneria, matematica rispetto al numero di ragazze. Se si chiede ai bambini di disegnare uno scienziato nella maggior parte dei casi disegnerà un individuo di sesso maschile. Come insegnanti dovremmo impegnarci a colmare questo divario. Sono molti i progetti sul tema “fill the gender gap”, ma penso che dovremmo partire fin dalla prima infanzia: non ci sono giochi per maschi e giochi per femmine, né carriere per soli uomini. Non dovremmo far passare il concetto che ci siano percorsi preclusi ad un sesso o all’altro. Il fatto che la NASA abbia scelto una donna come primo civile nella storia delle esplorazioni spaziali sia un segno di forte impatto, ma non per questo possiamo e dobbiamo abbassare la guardia. Anzi. E’ necessario cavalcare l’onda. Non ripeterò mai abbastanza quanto sia fiera di essere stata scelta dalla NASA per questo incarico e spero che oltre ad essere di ispirazione per altri docenti, mi auguro di poter influenzare le prossime generazioni di ragazze sperando che un giorno possano intraprendere studi scientifici e possano così far cadere per sempre lo stereotipo dello scienziato maschio.

Si sta parlando tantissimo di una possibile colonizzazione di Marte: la domanda non è più “se” si farà, ma “quando”. Cosa ne pensi?

All’inizio del ventesimo secolo librarsi un volo era un sogno che stava diventando realtà: sono passati poco più di cento anni dal primo volo dei fratelli Wright e guardi dove stiamo andando! Voli commerciali, sonde inviate oltre i limiti del sistema solare, uomini che camminano in enormi tute bianche sopra le nostre teste, per non parlare dei voli di linea che utilizziamo per andare in vacanza. La scienza e la tecnologia non hanno un andamento lineare, ma si spostano con grandi balzi innovativi. Marte è ostile. E’ una grandissima sfida, ma penso che la parte più interessante non sarà tanto la colonizzazione del pianeta rosso, bensì le ricadute tecnologiche, le invenzioni e le scoperte che si dovranno obbligatoriamente fare per poterci arrivare e stabilire. Com’è che si dice? “Non è importante la meta, ma il percorso!”.

A cura di
Alessandra Maria Adelaide Chiotto, PhD
Docente di Matematica e Scienze, Scuola Secondaria I grado, IC DASSO Chivasso (To)