Maria, nel I secolo ad Alessandria avresti potuto studiare tante materie: arte, filosofia, matematica. Perché hai scelto proprio le scienze alchemiche?
Vedi, l’alchimia è una scienza complessa, che viene da lontano. Le donne babilonesi studiavano come preparare unguenti, medicamenti, farmaci, profumi e cosmetici per la cura della persona e anche per sentirsi più belle. Di madre in figlia quei saperi e gli strumenti da loro inventati sono stati tramandati e sono giunti fino a noi. Pensa che i lavori alchemici vengono chiamati opus mulierum ovvero lavori di donne, anche se fatti da uomini! Mi piaceva il fatto che fossero studi su cose utili tutti i giorni e anche, perché no?, che potessero un giorno portare a scoprire come trasformare i metalli in oro!
La dea Iside, adorata anche a Babilonia col nome di Ishtar e legata alle pratiche alchemiche, ha quindi influito sulle tue scelte.
Sì, certo, io ero egiziana, anche se l’Egitto era sotto l’Impero romano. Iside era considerata la fondatrice della scienza alchemica e uno dei primi trattati è intitolato: Iside la profetessa a suo figlio Horus. È bello pensare che una grande dea abbia dedicato il suo sapere a suo figlio! E comunque, a parte Iside, la nostra ispiratrice, in effetti molti di noi si firmavano con nomi di divinità o personaggi biblici. La nostra scienza era preziosa e così volevamo tenere un po’ nascoste le nostre scoperte, per proteggere noi stessi e il nostro lavoro.
Quindi usavate strani simboli, strani linguaggi, oltre ai nomi…
Sì, usavamo spesso pseudonimi e poi simboli per rendere difficile se non impossibile decifrare le nostre scoperte e i procedimenti che utilizzavamo per produrre profumi e farmaci.
E poi non dimenticare che siamo stati sempre visti con un certo timore e che sotto l’Imperatore Diocleziano siamo stati perseguitati e che i nostri scritti bruciati! Tutti avevano paura che potessimo raggiungere il nostro fine: trasformare i metalli in oro! Ma a noi non interessava solo quello, abbiamo inventato tante cose utilizzate ancora oggi da voi.
Tu hai fatto importanti scoperte, hai costruito strumenti complicati per distillare e sublimare e li hai descritti nei minimi particolari…
Anche questo è vero! Sono particolarmente fiera di aver scoperto il balneum mariae, che voi ancora oggi usate chiamandolo il “bagnomaria”, per scaldare lentamente o tenere a temperatura costante i cibi immergendo un contenitore nell’acqua calda o bollente contenuta in un altro contenitore più grande. È una grande soddisfazione per me essere tanto utile e anche essere ancora nominata per la mia scoperta!
Anche il mio tribikos, un distillatore, e il mio alambicco per condensare il vapore mi rendono molto fiera. Non è stato facile organizzarmi con la terracotta per il tribikos, il rame per i beccucci di erogazione da infilare nell’alambicco e le ampolle di ricezione in vetro… Prove su prove, errori su errori e poi, finalmente, ce l’ho fatta.
Un gran lavoro e tanto studio, non è vero?
Sì, certo, un grande lavoro e tanto studio, ma anche passione e un po’ di fortuna dovuta al fatto di saper cucinare… Per esempio ho avuto la fortuna di poter sperimentare quale spessore di padella fosse più adatto per fare i tubicini di rame dai fogli di metallo. Alla fine ho scoperto e suggerito di utilizzare quella che usa il pasticcere per friggere. È sicuramente la migliore. E poi mi raccomando: tenete sempre la farina a portata di mano perché la farina impastata è ottima per sigillare le giunture!
Grazie, Maria! Ottimi consigli. Ma invece il “nero di Maria” cos’è?
Ah, sì! Mi interessava sapere come l’azione prolungata dei vapori di arsenico, mercurio e zolfo agisse sui metalli stessi provocando la loro colorazione. Pensa che ti ripensa ho trovato il modo utilizzando il kerotakis, una tavolozza triangolare usata dagli artisti per tenere calde le loro misture per dipingere. Con esso sono riuscita ad ammorbidire i metalli ed impregnarli di colore. Poi Kerotakis è diventato il nome di un intero apparato composto di molti elementi che consentivano ai vapori di zolfo di attaccare la lega del metallo liberando il solfuro nero, detto il “nero di Maria”, che si pensava fosse il primo stadio della trasmutazione in oro. Dopo che le impurità venivano raccolte in un setaccio e le scorie, il solfuro nero, rifluivano verso il basso, continuando col calore, si liberava una lega simile all’oro.
Il Kerotakis, comunque, è stato anche utilizzato “semplicemente” per l’estrazione di oli vegetali tra i quali la mia adorata essenza di rose.