“Siamo figli delle stelle” (M. Hack)
Premessa
Astrofisica e astronomia: questi i due ambiti di studio e ricerca scientifica su cui si è focalizzata Margherita Hack nel corso della sua esistenza. Il suo enorme contributo all’intera umanità va preso in considerazione attraverso una duplice chiave di lettura: da un lato, lo studio e la ricerca in ambito scientifico, dall’altro la capacità e la volontà di divulgare le sue conoscenze ad un pubblico che fosse il più vasto possibile.
La Hack è stata una personalità a tutto tondo, una donna carismatica che ha avuto successo nella vita e nella carriera proprio per il suo coraggio di prendere posizioni anche scomode, spesso controcorrente, ma sempre coerenti con gli ideali che l’hanno vista diventare una delle più famose astrofisiche del mondo.
L’attività scientifica
Le Cefeidi
Le Cefeidi furono il primo argomento di ricerca della Hack ed oggetto della sua tesi: si tratta di stelle variabili, cioè che variano continuamente la loro luminosità nell’arco di un periodo di tempo molto breve, appena cinquanta giorni. Si conoscevano fin dall’antichità, ma fu una donna, Henrietta Leavitt, a scoprire agli inizi del XX secolo che attraverso lo studio della variazione di luminosità era possibile usare queste stelle come parametri di misurazione della loro distanza dalla Terra. Come Margherita Hack, Henrietta Leavitt nel corso della sua carriera aveva dovuto subire l’indifferenza e persino l’opposizione dei colleghi maschi, che consideravano inconcepibile confrontarsi con un collega di sesso opposto. Le Cefeidi furono così chiamate dal nome della prima stella di questo tipo a essere identificata, Delta Cephei.
“Sono caratterizzate dall’estrema regolarità delle loro variazioni luminose”, spiegò la stessa Hack in uno dei suoi libri divulgativi, e “la loro grande importanza consiste nel fatto che c’è una stretta relazione fra il periodo di variabilità e il loro splendore intrinseco”.
Grazie a quelle osservazioni oggi le stelle di questo tipo sono considerate punti di riferimento fondamentali per misurare la distanza delle galassie alle quali appartengono e le distanze trovate con questo metodo sono considerate tra le più accurate attualmente possibili.
L’astronomia agli ultravioletti
Margherita Hack ha il merito di aver esplorato l’universo attraverso i raggi ultravioletti a partire da una stella nota come Epsilon Aurigae.
È una supergigante di magnitudine 3, lontana 6500 anni luce e ben duecentomila volte più luminosa del Sole. Si tratta di una variabile ad eclisse con un periodo orbitale di 27 anni (9883 giorni). Secondo un modello proposto da Margherita Hack, la stella eclissante ha una struttura a gusci concentrici ed è circondata da anelli di gas ionizzato: si spiega così il graduale impallidire della compagna eclissata. Le dimensioni della stella eclissante sono enormi: il diametro è 2800 volte quello del Sole e il colore è rosso cupo.
Ciò che colpisce della scoperta della scienziata fiorentina è il fatto che essa risale al 1957 quando ancora non esistevano i satelliti: bisognerà aspettare altri decenni per vedere confermato il modello della Hack, grazie al satellite IUE, International Ultraviolet Explorer. Si è così concluso che probabilmente Epsilon Aurigae è un sistema formato da tre stelle, una coppia di stelle calde e molto vicine fra loro circondate da una nebulosa protoplanetaria e una stella gigante circondata da un’atmosfera rarefatta.
La stessa Hack disse: «È vero, ho un debito di riconoscenza con l’IUE. Nel 1957 avevo studiato la stella Epsilon Aurigae, dal cui spettro di luce avevo dedotto l’esistenza d’una stella compagna, molto più debole e più calda, che avrebbe eccitato la luce emessa dalla stella visibile emettendo nell’ultravioletto. Dalla stazione di Villafranca del Castillo, presso Madrid, puntammo allora il satellite verso Epsilon Aurigae e rimasi in attesa. Dopo qualche istante, sullo schermo cominciò ad apparire una strisciolina bianca nell’ultravioletto: era lo spettro della compagna invisibile. A ventuno anni dalla mia ipotesi, era la conferma che avevo ragione. È stata la soddisfazione più bella della mia carriera scientifica».
Come era solita spiegare la Hack nelle sue conferenze divulgative, il cielo può essere osservato in molti modi diversi, dalla luce visibile ai raggi X. Guardarlo ai raggi ultravioletti significa poter osservare fenomeni altrimenti invisibili, i cui protagonisti sono oggetti molto caldi, come le stelle nascenti o quelle che stanno per morire. Grazie alla partecipazione al progetto dell’Italia, coordinata da Margherita Hack, alla missione del satellite International Ultraviolet Explorer (IUE), lanciato il 26 gennaio 1978 da Nasa, Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Gran Bretagna, attivo per 16 anni, fino al 30 settembre 1996, i ricercatori del nostro Paese hanno potuto studiare le migliaia di immagini relative a 10.000 oggetti celesti fra pianeti, comete, stelle, gas interstellare, supernovae, galassie e quasar.
Le stelle a emissione b
La Hack si è occupata dello studio delle stelle a emissione b, ovvero le stelle in rapida rotazione che emettono grandi quantità di materiale e talvolta formano anelli o inviluppi stellari.
Quelle di tipo Be sono caratterizzate da uno spettro continuo di righe scure e da una significativa emissione di idrogeno (da qui il suffisso “e” dopo la lettera B, che indica la loro classe spettrale) e da un eccesso di radiazione infrarossa: oggi sappiamo che queste due peculiarità dipendono dai dischi di materia che circondano tali stelle e ne assorbono la radiazione ultravioletta.
Gli altri studi a carattere scientifico
Le Quasar
«Nel 1963 si scoprirono le radiostelle, oggetti celesti che sembravano stelle ma che emettevano una quantità enorme di onde radio, come un’intera galassia. Dallo spettro di luce si vide che presentavano un fortissimo spostamento verso il rosso. Si trattava dei nuclei centrali di galassie lontanissime. Vennero chiamate quasar, contrazione di quasi stellar radio source, sorgente radio quasi stellare».
Le Pulsar
Si tratta di stelle che presentano rapidissime pulsazioni luminose e solo all’inizio degli anni Settanta si capì che erano stelle di neutroni, ciò che restava dell’esplosione delle supernove. «Ma fu scandaloso – sottolinea
Margherita Hack – che a prendere il Nobel nel 1974 sia stato Antony Hewish e non la sua allieva Jocelyn Bell, che le aveva identificate e studiate per prima».
La radiazione fossile a 2,7 gradi assoluti che permea tutto l’Universo
È il residuo della fase di altissima temperatura dell’Universo primordiale. La scoperta costrinse ad abbandonare il modello di Universo stazionario, in cui l’espansione è giustificata dalla creazione continua di materia, e ad abbracciare l’attuale visione di un Universo evolutivo, nato dal Big Bang. «L’Universo evolutivo non implica che ci sia stato un inizio esplosivo. Può anche darsi che nell’Universo primordiale, estremamente denso e caldo, si sia liberata dell’energia e che questa abbia dato origine all’espansione che ora osserviamo, risalente a 13,7 miliardi di anni fa. Nel 1992 il satellite americano Cobe identificò nella radiazione fossile delle impercettibili disomogeneità: sono i ‘semi’ della formazione di galassie e ammassi di galassie, successivamente studiati da altri strumenti».
La teoria dell’inflazione cosmica
Si tratta della rapidissima espansione che il nostro Universo avrebbe subìto nelle prime frazioni di secondo della sua esistenza. Teoria che cerca di spiegare l’apparente uniformità delle regioni più lontane del cosmo. «Mi convince poco, mi sembra tanto un’ipotesi costruita ad hoc», commentò la Hack.
I buchi neri, i Grb, i pianeti extrasolari
Ma gli interessi scientifici della Hack riguardarono anche i buchi neri, che ingurgitano materia e non lasciano filtrare la luce, i Grb, i gamma ray burst, le poderose emissioni di raggi gamma provenienti da supernove in esplosione, individuate grazie al satellite italo-olandese BeppoSax, e infine i pianeti extrasolari, i sistemi planetari scoperti intorno ad altre stelle a partire dal 1995: «Oggi se ne conoscono oltre 300, di questi pianeti lontani. Tutti belli grossi salvo uno, a 20 anni-luce di distanza, di grandezza paragonabile alla nostra Terra».
Gli obiettivi della ricerca
Due sono stati i grandi obiettivi che la Hack si pose:
- Convincere i giovani a dedicarsi alla ricerca scientifica, facendoli innamorare delle stelle e dei misteri dell’universo: la scienziata fiorentina ha scritto numerosi libri, ha partecipato a manifestazioni e trasmissioni televisive col preciso scopo di diffondere le sue conoscenze. La sua capacità di divulgatrice l’ha resa portavoce di una scienza complessa come l’astrofisica da lei spiegata con parole semplici. Il suo ruolo di scienziata non le ha mai impedito di vivere appieno la sua vita di donna e rendere comprensibili ai suoi lettori e ai suoi telespettatori le nozioni scientifiche più difficili.
- Combattere le visioni fideistiche e irrazionali della natura, dalle superstizioni sugli oroscopi alle letture teologiche della creazione. La scienziata riteneva che l’etica non derivasse dalla religione, ma da “principi di coscienza” che permettono a chiunque di avere una visione laica della vita, ovvero rispettosa del prossimo, della sua individualità e della sua libertà.